Generazione E-LIS [live blogging]

Approfittando di una wireless aperta e gentilmente messa a disposizione del prossimo provo a buttare giù alcune note (rapide e, temo, con molti errori) in diretta sull’incontro generazione e-lis, convegno a cui ho partecipato come referee.

Stranamente in un convegno che nella prima mattinata mi è sembrato in tono minore in quanto accesso di pubblico, la sala sembra abbastanza piena. Una sessantina di ascoltatori a una prima occhiata.

Purtroppo la macchina fotografica è inopportunamente scarica, per cui niente foto 😦

Presenta Andrea Marchitelli, che illustra l’idea di dare spazio a giovani (under 30). La preoccupazione iniziale di scarso entusiasmo si è poi rilevata infondata ottenendo un successo insperato in quanto a numero (e qualità aggiungo io) di proposte (16 da cui sono emerse le 6 presentazioni di oggi).

Personalmente mi unisco ai ringraziamenti di Andrea a Valeria Baudo (co-anima dell’iniziativa), Cilea, Biblioteche Oggi e a tutti i partecipanti.

Sara Mori – Integrare competenze storiche e bibliografiche: un’esperienza di catalogazione di fogli volanti

Sara Mori presenta il suo lavoro di tesi di dottorato in storia da poco concluso a Firenze.

Nel suo percorso Sara ha riscontrato come la peculiarità dei fogli volanti necessita, per una corretta trattazione, sia di competenze di storico sia bibliotecarie (di catalogatore).
I fogli volanti si differenziano già per i canali di diffusione differenti (anche attraverso locali, volantini, manifesti) e per la diffusione capillare a basso costo.
Spesso i fogli volanti sono anonimi, sia per motivi di censura sia per assenza proprio di un autore note. Manca spesso anche l’indicazione dell’editore.
Essenziale, per la catalogazione, considerare la praticamente assenza del frontespizio.
Nella fase di catalogazione si è cercato di non applicare meccanicamente le regole di catalogazione, ma si è cercato di chiarire il ruolo e il contesto storico in cui quel foglio volante nasceva ed era diffuso.
Sara Mori entra poi nel dettaglio del suo lavoro di catalogazione, illustrando i criteri di inclusione ed esclusione e la scheda utilizzata (segmentate in area del titolo, area delle note tipografiche, area della descrizione fisica, area delle note, collocazione). Interessante segnalare come Sara abbia usato, anche come sperimentazione, le REICAT nella bozza di ottobre 2008.

Segue l’illustrazione nel dettaglio dei singoli elementi usati, delle scelte effettuate e delle difficoltà incontrate.

Sara Mori ha già pubblicato la sua tesi Fogli volanti toscani: catalogo delle pubblicazioni della Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma (1814-1849) edita da Franco Angeli.

Unico appunto, lo sfondo verde delle slide, che personalmente avrei de-saturato leggermente 😛

Rettifico il numero dei partecipanti che, sempre ad occhio, mi sembra stimabile in un’ottantina.

Carlotta Mino – Biblioterapia: dal self-help book alla biblioteca come luogo di cura

Carlotta è una mia collega di dottorato di Udine (mea culpa, non la conosco).
Carlotta specifica che su Biblioterapia (in Italia sostanzialmente un neologismo) non c’è una definizione univoca e che non è oggetto dell’intervento stabilirne uno.
La biblioterapia è:

  • lettura individuale di autoaiuto (self help book, ovvero trovare il giusto libro al momento opportuno). A tal proposito Carlotta presenta anche casi concreti di Biblioterapia, ad esempio nel caso di una bambina vittima di una violenza sessuale
  • lettura collettiva guidate. Sia con un confronto discussione finale, sia leggendo individualmente (con controlli telefonici degli assistenti sociali) incontrandosi a fine lettura con utenti con problematiche simili. Nel citare due esempi di queste casistiche apprendo anche che in america esiste la figura del bibliotecario medico con apposito corso. Un esempio molto significativo di lettura collettiva e quella verso gli alcolisti (quasi una piaga in america)
  • luogo protetto con l’aiuto consolatorio della lettura (esempio citato quello dell’unicef nei confronti di bambini orfani di guerra)
  • luogo di reinserimento sociale: unico caso (incompleto) attuato in Italia: offrire all’interno di una biblioteca occasione di lavoro per paziente che abbiano intrapreso il proprio percorso di guarigione.

Giustamente Carlotta Mino sottolinea come la biblioterapia non sia da intendersi un sostituto della terapia psichiatria, ma sia un valido (a vedere i risultati).
Le statistiche citate sembrano molto interessanti, certo bisognerebbe analizzarle nel dettaglio, verificare il gruppo di controllo (se c’è) etc.
Il forte applauso sembra sottintendere l’apprezzamento generale per un tema di cui (almeno io personalmente) si è sentito parlare poco.
Nella fase di discussione ci si è interrogati sia sulla reale influenza (così come nei casi di musicoterapia, pet-terapy etc) sia se possa diventare una branchia della biblioteconomia con una propria figura specifica.
Carlotta chiarisce che interi libri dissertano se la biblioterapia sia considerabile una parte della biblioteconomia o no, ma sulla sua efficacia, a vedere i casi concreti, non sembrano esserci dubbi.
Dal pubblico arriva un assist a Carlotta in una risposta in cui si sposta la funzione del bibliotecario a servizio del cittadino con lo scopo di “far star bene l’utente”. Personalmente, credo di averlo detto già altrove a proposito di ideastore, non sono particolarmente d’accordo con questa idea di ruolo del bibliotecario.

Giovanna Frigimelica – La diffusione di software Open Source per la gestione di biblioteche in Italia

L’argomento non mi interessa proprio 😀
Giovanna parte con la definizione di free software di Babbo Stallman e della differenza con il termine open-source, approdando alla definizione di Open Source OSI di Perens.

Dopo la doverose parentesi su cosa sia il free software e cosa l’open source, Giovanna Frigimelica presenta la definizione di ILS e la storia dell’automazione in italia.
Gli antenati dell’oss per biblioteche in Italia possono essere:

  • CD/ISIS (gratuito e non libero)
  • DAFNE (progetto poi svanito e inglobato in Comperio che rilascia software proprietario, ma che rilascia sotto open source il software all’acquisto dell’aggiornamento della nuova versione)
  • UOL (a richiesta rilascia i sorgenti – richiesta fatta solo dalla provincia di Bergamo che sopra ha sviluppato un suo software proprietario
  • JOPAC2 (Software Open Source italiano)
  • wwwISIS (del Cilea anche questo OSS)

Dalla ricerca effettuata emergono solo 19 biblioteche che usino OSS. A mio avviso il numero è maggiore, ma ciò non cambia la percentuale minima rispetto al totale.

Perché in Italia non si sceglie un software OSS:

  • timore di software non stabile
  • timore di assenza di garanzie
  • timore di dipendere da sistemisti e informatici (spesso identificati con “cantinari”)

E’ neccessaria effettuare una seria valutazione del TCO.

Nella discussione si parla della necessità di essere certificati per partecipare a SBN cosa che per i software OSS appare difficile.
Giovanna sottolinea che questa problematiche è dettata dal ritardo nell’azione che ha creato qualche gap.
Andrea Marchitelli crede che SBN sia l’ultimo dei problemi, ma ci sono i problemi citati da Giovanna.

Io, dal mio punto di vista, sottolineo che oltre alla gratuità bisogna insistere sia sulla modalità di sviluppo (open source) sia sul valore etico nell’utilizzare software libero per gestire informazioni libere (peraltro con soldi pubblici).

Partecipando attivamente alla discussione non posso riportare tutto 😦

Chiara Pinciroli – Gestione e catlogazione di una collezione di e-book accademici

Chiara lavora presso la LIUC e studia presso l’unipv (quindi non potrà che essere bravissima :-D)
Chiara Pinciroli presenta la piattaforma di e-book su springer (20.000 e-book).

Essendo ancora proiettato alla discussione precedente, parlando con Giovanna Frigimelica, mi sono perso la prima parte dell’intervento.

Si insiste giustamente sulla necessità di curare l’aggiornamento del catalogo per evitare dead link, quindi con un aggiornamento e un controllo costante.

Parlando invece della catalogazione, Chiara entra nello specifico illustrando le differenze fra le ISBD Consolidated e l’AACR2, ad esempio nel caso in cui il titolo interno differisca dal titolo del “frontespizio” (quantunque elettronico). Analizzando queste problematiche Chiara conclude che forse il panorame non è ancora maturo e consolidato su questo ambito.

Per favorire l’utente si è scelto di inserire la risorsa nell’opac (dove l’utente è abituato a cercarlo) rendendola ricercabile per CDD, soggetto etc.

Importante è la politica di conservazione soprattutto per garantire la continuità dell’accesso. In tal senso l’editore ha messo a disposizione un hd (in remoto?) in cui salvare tutte le copie del libro.

La conclusione di Chiara mi pare molto interessante ed è volta a sottolineare come le risorse elettroniche non portino a una disintermediazione, ma anzi rafforzino l’importanza e il ruolo del bibliotecario seppur modificandone i compiti.

Andrea si accoda all’ultima conclusione, citando Ridi che forse parlerebbe di ‘iperintermedazione.

Francesca Rognoni e Matteo Colombo – Sviluppo di un microthesauro per il settore biblioteche

Si tratta di un lavoro nato in seno a un corso di laurea e poi conclusosi con uno stage.
Si tratta di un thesaurus specifico per biblioteche e dunque, pur nella consapevolezza che per costruire un thesaursu si debba rivolgersi a diversi fonti, si è basato sull’archivio elettronico di “Biblioteche Oggi” che comunque risulta essere composto da un numero nutrito di elementi (1100 termini).

Matteo Colombo illustra le fasi dell’esperimento: dalla raccolta della terminologia, passando per la normalizzazione dei termini e il controllo delle sinonimie sino ad arrivare all’assegnazione delle categorie, all’individuazione delle faccette e, per concludere, affrontando le problematiche delle “classi di uno” e delle relazioni associative.

La presentazione procede nel dettaglio delle fasi effettuate, entrando nello specifico delle varie fasi, soprattutto per ciò che riguarda il controllo delle sinonimie.
Per ciò che riguarda le categorie si è scelto di recuperare quelle utilizzate dal Classification Research Group adottandone 11 sulle 13 proposte.

In conclusione viene ribadito la nascita del progetto in seno al corso di laurea e il suo valore didattico. E su questo punto mi sento di concordare e, eventualmente, di suggerirlo come spunto per le università e i corsi di laurea.

La discussione sull’intervento riguarda i possibili utilizzi di questa operazione (quasi di reverse engineering) di strutturazione dei dati di bilioteche oggi che provengono poi dal GIT. Dunque si chiede se il thesaurus è poi disponibile all’utilizzo.
In tal senso la risposta è positiva ed i file sono disponibili presso la LIUC.
Per quanto concerne la procedura e il numero dei termini introdotti la misurazione è da rifare (per un errore di calcolo nel considerare le classi di uno), ma è stimabile in un 10-15%
Per quanto riguarda la normalizzazione delle classi di uno, invece, non è stata propriamente curata dai relatori, per cui si forniscono solo alcune indicazioni di massima (esempio la denominazione con cui si auto-presentano es LIUC sotto Biblioteca Mario Rostoni se si presenta così)

Valentina Tosi – Il sistema bibliotecario ovest mantovano (SBOM) nel web 2.0

Valentina, ringraziando i superstiti (tra i 20 e i 30, sopravvissuti a 3 ore continuative) presenta un progetto che è alla base della sua tesi di laurea, ma che è proseguita in un lavoro che intende proporre servizi 2.0 (denominati widget bibliotecari). Il termine dello studio è previsto per fine 2009.

Lo studio come si evince dal titolo insiste sull’area ovest del mantovano e la biblioteca case study è la biblioteca comunale di Castel Golfredo.

Viene illustra lo stato attuale con la valutazione del sito delle biblioteche della provincia di montava adottando i parametri dell’usabilità di Nielsen.

E’ stato effettuato uno studio dell’utenza tramite questionario (tramite mail) per valutare l’interesse verso servizi 2.0 e, soprattutto, su quali servizi.

Come base per lo sviluppo dei widgets è stato preso in considerazione il nuovo Sebina You (anche se il software definitivo sarà scelto dalla provincia) che risulta abbastanza flessibile per produrre questi nuovi servizi.

Lo studio si inerpica anche in valutazioni sulla sostenibilità nel futuro, valutando anche la struttura dell’organismo giuridico/amministrativo che si dovrà occupare di mantenere il sistema.

Sulla scorta di progetti come “Chiedi al bibliotecario” si propongano difersi strumenti di comunicazione interna, mailing list, chat, wiki, calendario condiviso.

Mi sembrano tutti strumenti interessanti e a uso tempo citati e illustrati anche da Elizabeth Winter nel convegno “Academic Library 2.0?Il futuro della biblioteca accademica

Alcuni esempi dei widget bibliotecari potranno riguardare:

  • book tag clouds
  • chat della biblioteca (esempio sistema veronese, ma con evoluzioni verso il sociale es facebook)
  • google books
  • biblio calendary (con profilazione dell’utenza e eventi opportunamente segnalati)
  • gruppo di lettura (anche in questo caso con risvolti social, ad es usando anobii)
  • un capitolo al giorno (un capitolo al giorno, digitalizzato, a seconda del settore di interesse indicato, che venga visualizzato nell’homepage dell’utente)
  • le bibliografie tematiche
  • lettore gemello (sostanzialmente un sistema di reccomendation non effettuato da bibliotecari, ma tramite affinità di lettura)

La chiusura è affidata a Claudio Leombroni (AIB) che sottolinea come anni fa non esistevano corsi di laurea specifici che concorrono alla formazione delle generazioni e-lis.
Fondamnetale è dunque il passaggio (graduale) di esperienze che non è monodirezionale.
Il timore, giustificato, è che l’età media di interi settori cruciali (nel nostro ambito) superi i 50 anni.
Leombroni sottolinea la necessità, anche all’interno dell’AIB, di forze fresche e di passione.
A piccoli passi l’AIB si sta muovendo in questo senso, anche nelle commissioni locali, dove devono essere presenti i giovani. L’appoggio dell’AIB a generazione e-lis non è quindi da leggersi come paternalistico o formale, ma come convinto sostegno per invertire questa tendenza.

9 thoughts on “Generazione E-LIS [live blogging]

  1. Che dettagliato resoconto!
    Non pensavo che stessi bloggando, mi fa molto piacere leggere queste note.

    Sono contento di sapere che anche dall’altra parte del tavolo ci sia stata la percezione della riuscita dell’evento, che ha raccolto, oltre a presentazioni di sicuro interesse, anche un pubblico folto e attento.

    Da non trascurare il fatto che in altre sale del Palazzo si svolgessero in contemporanea con Generazione LIS eventi di portata piuttosto significativa, come la presentazione dell’ultima edizione italiana della CDD, ai quali abbiamo tenuto testa, come presenze.

    Segnalo infine che tutte le presentazioni sono disponibili, insieme a una versione testo esteso, sul sito web dell’iniziativa: http://conferences.aepic.it/index.php/lis/2009/schedConf/presentations

  2. Grazie, Salva, per questo ottimo e completo resoconto! Hai permesso anche a chi, come me, non ha potuto partecipare, di seguire praticamente in diretta, gli interventi di questi promettenti (e alcuni già promessi, mi pare 😉 giovani colleghi.

    Il mio punto lo farò soprattutto sulla formazione: come ripeto ormai da qualche tempo, trovo scandaloso che nei corsi universitari (lauree triennali, magistrali, master etc.) non vi siano insegnamenti riguardanti il web design, DHTM&JavaScript, linguaggi di programmazione etc.

    Perché questo purtroppo produce una lacuna grave: nelle biblioteche c’è quotidianamente bisogno di chi sappia mettere mano a un tag HTML o fare della grafica per il web e simili. Ma, anche tra i giovani neo-laureati, spesso non c’è nessuno che sia in grado di farlo… La mia sarà sicuramente una visione parziale, ma posso assicurare dettata da esigenze concrete, che tocco con mano ogni giorno. E insomma, se magari accanto ai corsi di diplomatica e letteratura latina ci fosse qualche sano insegnamento di informatica, forse le realtà italiane sarebbero anche un pochino più avanzate e meno dipendenti da società informatiche piccole o grandi cui si dà in outsourcing più o meno tutto ciò che riguarda l’essere in Rete…

    • Bonaria, come sai, con me, sfondi una porta aperta.

      All’università di Pavia abbiamo un paio di corsi del genere, ma che, alla fine, non c’entrano il punto, essendo orientati più a xml per l’umanistica (TEI, EAD, EAC etc) e meno sull’uso pratico in biblioteca (io ogni tanto provo a far vedere qualche uso pratico, come una risposta di z39.50, ma non è molto) ma almeno qualcosina si prova a fare.

      Il problema è che a volte sembra che quasi ci si debba vergognare di conoscere quel minimo di uso di computer…
      Nell’esigenza di categorizzare, qualunque cosa sfugga ai compartimenti stagni è vista con sospetto, come aberrazione. Ogni tanto, infatti, mi tocca indossare una maschera per presentarmi ora esclusivamente come archivista, ora esclusivamente come bibliotecario ora anche come informatico (che non sono).

      Ecco, condizione necessaria per cambiare corsi e programmi è, per me, cambiare una certa mentalità…

  3. Ciao Salvatore, e scusami tanto per averti distratto mentre stavi bloggando… non ne avevo proprio idea :-O E quindi mi sento un pelino in colpa nei confronti della collega Chiara. Ciao ciao

    • @Giovanna, figurati…

      come ho dimostrato arrivando quasi a monopolizzare la discussione seguita al tuo intervento (mi spiace 😦 e pensare che generalmente sono piuttosto restio a parlare) sono argomenti che mi stanno molto a cuore

  4. Grazie mille per questo preziosissimo resoconto – che tuttavia mi ha lasciato con la sete di sapere ancora di più!!! 😉

    Purtroppo non ho potuto partecipare per motivi di lavoro, e me ne rammarico molto, perché mi sarebbe piaciuto molto portare la mia esperienza di bibliotecario neo-trentenne e
    confrontarmi con altri colleghi!

    @giovanna: il tuo intervento sembra molto molto interessante, il tema degli ILS open source mi attira molto da sempre. Dagli appunti di Shaitan mi sembra di dedurre però che
    viene sottovalutato un punto relativo alla scarsa diffusione dell’OS – e qui mi ricollego alle riflessioni di Bonaria e Salvatore: mi sembra mancare – nelle strutture
    universitarie ma non solo – una competenza tecnica (o forse è solo una mancanza organizzativa e gestionale e una difficile gestione delle risorse) in grado di effettuare
    sperimentazioni, ricerche, sviluppi, e arrivare eventualmente al mantenimento di un eventuale sistema ILS. Più che la paura di non farcela, ho l’impressione che le istituzioni
    non
    sappiano proprio da dove
    incominciare, e che
    quei
    pochi tecnici a disposizione siano occupati – esagero – a far funzionare le stampanti degli uffici più che a mettere in piedi sperimentazioni di software “alternativi”. Tant’è
    che la “dipendenza da informatici cantinari” avviene comunque, soltanto che avviene – pagata talvolta a peso d’oro – nei confronti di ditte specializzate. Insomma, meglio
    mantenere un manipolo di nerd nei sotterranei di un ateneo, organizzando una sia pur timida crescita delle conoscenze interne, o continuare a finanziare ditte commerciali
    esterne da cui non si potrà che dipendere vita natural durante?

    Ciao a tutti 😉

  5. @Shaitan: e di che ti dispiaci? Mi ha fatto anzi molto piacere vedere che il tema trattato suscitava interesse. Come dicevo, era donchisciottesco, quindi piu’ se ne parla piu’ contenta sono 🙂

    @Enrico: il problema secondo me sta a monte e non a valle, cioe’ nel mancato interesse da parte delle Istituzioni di investire in questo senso. Tecnici secondo me ce ne sarebbero, volendo. I bibliotecari poi dovrebbero avere piu’ competenze tecniche, invece di andare in panico anche solo per una stampa unione in word 😉 Il discorso della dipendenza che mi e’ stato tirato fuori da qualcuno come motivazione per un OS mi e’ sembrato una scusa, un luogo comune… non e’ che se ti affidi ad una ditta commerciale questa ha la bacchetta magica e risolve tutti i problemi! Credo faccia “comodo” fare certe scelte senza provare a vedere se ci sono alternative. I bibliotecari italiani dovrebbero imparare ad esprimere cosa c’e’ che non va nei SW che usano, invece di saltare da uno all’altro alla ricerca dell’isola che non c’e’… Con cio’ non voglio dire che i SW OS siano perfetti, ma perfettibili si e in maniera piu’ elastica dei SW proprietari. La differenza, secondo me, sta qui. Ciao a tutti 🙂

  6. Ecco forse, parlando di dipendenza etc, manca un’azienda che offra supporto per ils open source (come Koha)…

    Pronto ad essere smentito su questo punto visto che purtroppo non sono riuscito ad andare al “raduno” koha alle stelline (troppi troppi eventi concentrati in un unico spazio).

    Mi sembra che questo punto fosse poi uscito nel dibattito: Cilea ci sta provando (magari non sugli ILS, ma sul resto), sicuramente il modello economico alla base dell’open source non è facile (per le aziende), ma è una bella sfida.

  7. Pingback: Mind Matters » Ancora sull'Open Source in biblioteca

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